La Basilicata fa acqua da tutte le parti?
Tags: Pantone; Protezione Civile; All Saints; Sanniti.
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Quattro fiumi azzurri su sfondo argento. Un blu pantone2945,
di un “simbolismo chiaro e significativo”. Così la Legge regionale 12/1973
istituiva lo stemma della Regione Basilicata.
Di chiaro e significativo è rimasto ben poco: i fiumi esondano, disintegrando
i confini ben delineati e invadendo lo sfondo argentato dello scudo sannitico.
Il blu pantone2945 diventa marronefangoesangue1959, marronefango2011,
marronefangoenero2013. Un paradosso, ricercare notizie riguardanti gli eventi
alluvionali di 50 anni fa e rivivere i momenti del 2011 e della scorsa
settimana. La Basilicata piangeva undici morti, anche oggi ne piangiamo uno.
Nel corso di questi cinquant’anni, il susseguirsi di sigle politiche al Governo
regionale è stato in grado di costruire scrivanie e tavoli d’oro per figli di
una terra asservita ma non è stato in grado di regolamentare e
curare il terreno su cui posizionarli. 50 anni in cui nessuno è stato in grado
di pianificare un intervento serio o un quadro di azioni, che andassero a
mitigare il rischio idrogeologico. Eppure dal 1959 ad oggi i mezzi di
previsione di questo rischio si sono evoluti e sono alla portata di tutti: è
noto che la percentuale di rischio sia aumentata, che nel frattempo le attività
dell’uomo siano diventate più concentrate, che le reti urbane e le strutture di
collegamento tra esse si siano ampliate e con queste la densità di popolazione.
Il terreno su cui siamo subisce maggiori sforzi. A non essere cresciute, però, sono
l’informazione e la sicurezza; prevenzione ed emergenza, invece, si rincorrono
come un cane che si morde la coda.
Le calamità naturali
lucane hanno sepolto vittime, ma hanno lasciato in vita il resto della
popolazione; questo il dato oggettivo. Il dato soggettivo, invece, è che
abbiamo deciso e scelto, consapevolmente, di subire tutto questo come i corpi
in pietra lavica di Pompei, rimasti fermi e intatti, vittime della natura, del
tempo, dell’incuria e, come per noi, vittime di se stessi.
Non c’è più storia in queste terre abbandonate, non ci sono
fonti da cui attingere per non ripetere errori; nessuno parla, la stampa è
bianco su bianco. Niente di ciò che è accaduto in passato ha insegnato ai
nostri amministratori che investire in manutenzione e in prevenzione è più
economico dell’investire in ricostruzioni, riabilitazioni, ripristino dei
luoghi, ricerca di fondi per i risarcimenti, risanamenti, e di tutta una serie di “ri” del genere.
Lungo le nostre strade, già piene di buche e dissestate, abbiamo vere e proprie
discariche, lungo gli argini dei fiumi abbiamo erbacce, detriti, tutta roba che
–oltre a non dover esserci- dovrebbe
essere rimossa quando insiste. “Ma – dice qualcuno - io li vedo gli addetti ai
lavori, in estate, sui bordi delle strade: uno con la zappa piantata nel
terreno e il braccio appoggiato su, l’altro di fronte a guardarlo, il terzo
mangia il panino e li ascolta parlare, mentre il quarto li aggiorna
sull’orario, aspettando tutti insieme che
arrivi il momento di tornare a casa”. Certo, perché manca una cabina di regia,
qualcuno che abbia davvero interesse affinché tutto venga svolto con diligenza.
No, troppo difficile. L’alternativa è il classico “non ci sono soldi” –uhm e i fondi derivanti dalle royalties del
petrolio? E non ci si nasconda dietro Patti di Stabilità: qui c’è EMERGENZA,
c’è un DISASTRO AMBIENTALE.
La Basilicata fa acqua da tutte le parti. Fa acqua anche sul
piano della prevenzione in termini di preparazione a situazioni di tale
portata; si provi a chiedere alle unità di Protezione Civile dislocate sul territorio
lucano: QUANDO hanno partecipato l’ultima volta ad un’ “esercitazione rischio
idraulico”? In che modo – vista l’elevata percentuale di probabilità di
allagamenti - sono stati preparati? Ma chiedetelo davvero, non vi fidate
ciecamente di quanto scritto qui.
Già. Non fidatevi. Non fidatevi più: chiedete, piuttosto.
Gridate, pretendiate: i vostri diritti, il rispetto della vostra terra (da voi
stessi, prima che dagli altri), del vostro lavoro, della vostra incolumità. Che
vi si ascolti e che vi si faccia parlare. Da ora. Da subito.
A Pino,
che la sua morte
diventi grido d’allarme
Francesca Avena
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