Radicarsi, ma senza orgoglio.
Tags: Bill De Blasio; Grassano, New York; Roots; Guccini; Diane Keaton; Dio; Alfonso Guida; televoto; Kento; All'orizzonte
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Non sono un'apolide.
Le radici sono la mia bussola. Roots è il nome del mio gruppo preferito, di un
disco di Guccini non particolarmente bello (ma pur sempre un disco di Guccini,
quindi necessario di default) e del primo cd heavy metal che comprai nel tentativo
di farmi degli amici di sesso maschile (tra il 1998 e il 2003 le regole erano
queste). Ho sviluppato, negli anni, un tipo di pensiero corto in base al quale
la maggior parte delle cose che faccio trovano ragione nel fatto che sono di
Ferrandina, di Matera, lucana, meridionale, italiana, mediterranea,
occidentale. Tipo Diane Keaton che in Manhattan, quando si scandalizzava,
diceva "Scusate, è che io sono di Philadelphia e lì crediamo in Dio".
A un certo punto ho smesso di credere che gli eventi, la corrispondenza tra ciò
che voglio e ciò che faccio per averlo, le relazioni, andassero necessariamente
compresi e spiegati: ho iniziato ad accettare, senza decifrare troppo. In
questo, avere ben chiaro il posto da cui si arriva e in cui si è nati, che è sempre
uno e uno soltanto (indipendentemente da quanti maledetti Erasmus facciate in
giro), è di grande aiuto. Non mi attribuisco più nevrosi: penso solo che vengo
da Matera e questo fa di me una persona con una serie di inibizioni,
attaccamenti, obblighi, durezze, debolezze, apatie che non voglio rimuovere o
sanare, perché sono il portato delle mie radici. Le MIE radici, che mi
postulano e quindi, in fondo, mi rendono necessaria. "Ho molte cicatrici e
ricordi infelici, ma un sole ben più forte nelle radici", canta Kento.
Ecco a cosa servono, anche, le radici: a star saldi nonostante la bora, il
ghibli, Mary Poppins, Katrina. E' qui che mi fermo: consapevolezza e
riconoscimento, entrambi fatti privati. Non mi scattano né orgoglio, né
fierezza. E' un bene? E' un male? E' un bene. Ne sono sicura e l'ho capito
davvero in occasione dell'elezione del nuovo sindaco di New York che, a quanto
pare, ha origini lucane (oltre che campane: un principe mezzosangue).
Esattamente come per l'alluvione dello scorso mese, il fatto che Bill De Blasio
avesse una nonna a Grassano non se l'è filato nessuno, ma in compenso non c'è
italiano che non sia stato raggiunto dalla notizia che nelle vene del Mayor
scorra sangue partenopeo. A Sant'Agata dei Goti, paesino altrimenti non troppo noto,
hanno organizzato feste e festini, con falanghine, hot dog, bandiere e sobrietà
varie, per arrogarsi il vanto di aver dato un sindaco alla città di Lou Reed.
Ma non vi pare un po' ridicolo e patetico? Dobbiamo sentirci in difetto,
rispetto ai campani, perché non abbiamo colto l'occasione per far parlare di
noi? Abbiamo fatto bene, invece, a restarcene zitti. Perché è evidente che la
Basilicata, oltre a dare una nonna a Bill De Blasio, non ha contribuito affatto
alla sua realizzazione personale e sebbene lui abbia insistito sull’orgoglio di
“essere italiano”, lo sa benissimo che se nato a Grassano o a Sant’Agata,
probabilmente non sarebbe diventato nemmeno assessore alla cultura di uno o
dell’altro paese. Come italiani, dovremmo interrogarci su questo, tutte le
volte che ci gonfiamo il petto per quello che i nostri conterranei riescono a
fare quando varcano le Alpi e, se abbiamo sale in zucca, vergognarci per
esserceli fatti scappare o, semplicemente, come nel caso di Di Blasio, pensare
che “ah, sua nonna era di qui? Che bella coincidenza”.
Come lucani, dovremmo
essere contenti di non aver dato in escandescenza alla stregua dei napoletani.
Quella timidezza che ci
ha impedito di sentirci protagonisti del municipio newyorchese, oltre a essere
un segno banale di raziocinio, è un bellissimo episodio di resistenza al
marketing da evento, che ormai sembra diventato più essenziale dell'aria che
respiriamo. Tutto deve per forza condensarsi in un baccanale senza senso per
sponsorizzare cibo, vino e campanili? Ma perché? Perché questo dimostrerebbe
che abbiamo un forte senso indentitario? E' vero: non abbiamo modelli di
riferimento ben strutturati e spiegati a cui poterci appellare. E' verissimo.
Questo ci smarrisce, ma non è la ragione per cui non siamo campioni di
autopromozione arbitraria: la vera ragione sta nel fatto che non ci siamo
raccontati mai. E invece abbiamo bisogno di un enorme libro in cui ritrovarci
codificati e, per questo, rasserenati. La buona notizia è che quel libro,
sebbene sia ancora tutto da scrivere, abbia già una trama e dei personaggi
precisi, che conosciamo tutti. I napoletani possono tenersi l'orgoglio da
televoto: noi siamo più generosi, non ci arroghiamo meriti personali per dar
lustro alla paesologia. Forse siamo decadenti, forse siamo un po' fricchettoni.
Ma almeno non ci vendiamo la faccia per un passaggio in tv. Siamo come AlfonsoGuida, il poeta di San Mauro Forte che da qualche mese inizia ad appassionare i
salotti degli intellettuali fichi: amiamo le rovine, amiamo i segni del tempo,
l'accettazione e la discrezione dei ruoli di contorno. Io, sarò fessa, ma trovo
tutto questo incredibilmente civile, saggio, profondo e poetico. Questo è il
sole delle mie radici: fottersene dell'orgoglio.
Simonetta Sciandivasci
Nicola Bronzino, un caro amico di Basilicon Valley, ha
voluto condividere con noi delle ottime riflessioni sulla stessa faccenda.
Nella mia nota coerenza, riesco a essere - in parte - d’accordo con lui, nonostante sostenga
quasi l’opposto di quello che sostengo io: lo trovo meraviglioso, significa che
siamo davvero in una zona vergine, tutta da strutturare. Leggete.
Mi sono emozionato
anch’io. Non l’altra sera, ché la vittoria era più che prevedibile, scontata
addirittura, come ci avevano spiegato tutti gli inviati che seguivano le
comunali di New York (che già a parlare di comunali di New York, per chi viene
da una regione di neanche seicentomila abitanti, vengono i brividi). Mi ero
emozionato quando era saltato fuori che Bill De Blasio, il nuovo sindaco di New
York, il primo cittadino della capitale del mondo, vantava origini grassanesi.
È un mio compaesano, praticamente. Il sindaco di New York. Pazzesco.
Sapete quanto sia strana
questa sensazione, per una ragione che prima di Papaleo aveva raggiunto punte
massime di celebrità con Franco Selvaggi e Ciccio Colonnese.
Bill dimostra anche di
essere molto orgoglioso delle sue origini, tanto da dichiararlo nelle
interviste, in un italiano più che apprezzabile. È uno di noi e ci tiene a
farcelo sapere.
Solo che a Grassano De
Blasio non lo conosceva nessuno, almeno fino al mese scorso. Grassanese per
parte di nonna, emigrata oltreoceano a inizio secolo, è stato in Basilicata a
visitare il paese delle sue radici qualche anno fa. Ma a Grassano nessuno lo
sapeva. Non si sa a chi appartenga, come si dice da noi, questo omone di quasi
due metri. Non ha parenti in loco nè persone che lo conoscano direttamente.
E in questa strana
vicenda, anomala e un po’ surreale, c’è molto del rapporto non risolto dei
lucani con i loro compaesani. L’emigrazione, a Grassano come ovunque in Basilicata,
è spesso un destino ineludibile. Ma una regione senza un immaginario condiviso
fa fatica a sviluppare un sentimento di identificazione verso i propri
conterranei illustri. Non sa valorizzarli come meritano, a volte li dimentica,
in alcuni casi li disconosce addirittura. Non li sente simili a sè, parte della
propria famiglia. Non sente di avere a che spartire con loro.
Perchè il lucano, e il
grassanese nello specifico, non fa gruppo. Il lucano viaggia in ordine
sparso, non si sente parte di un progetto più grande, come un siciliano, un
campano o un pugliese. Le celebrazioni lucane di questi giorni verso il figlio
illustre della terra dimenticata suonano male, un po’ ingenue e raffazzonate. A
maggior ragione se le si confronta con l’operazione tempestiva e un po’
furbetta di S. Agata dei Goti, l’altra metà del sangue italiano di Bill.
I sanniti si sono
attrezzati per tempo, magliette pro-Bill e adesivi elettorali. Hanno chiamato
la tv e si sono fatti riprendere in favore di telecamera, mentre festeggiavano
nella notte dell’elezione. Per questo, il giorno dopo sui giornali nazionali ci
sono finiti loro. Il lucano, caratterialmente, non è portato per questo genere
di operazioni. È timido, fatica a stare sotto i riflettori, abituato com’è a
vivere sempre alla periferia del mondo. Ma anche perchè non ha mai sviluppato
un sentimento di promozione di un suo io collettivo. Quando prova a farlo, va
contro la propria natura.
Per questo le
celebrazioni dell’ultima ora suonano ingenue e un po’ tardive. Riflesso di un orgoglio
patrio che non sapevamo di avere, arma disperata di marketing turistico (Bill
De Blasio novello Mel Gibson), servono al massimo a ottenere cinque minuti di
gloria nel TG regionale. Tanto ormai per tutti in Italia De Blasio è il sindaco
di S. Agata dei Goti. La prima pagina se la sono presa loro. Grassano e la
Lucania continuerà a non conoscerli nessuno.
Noi ci emozioneremo da
soli per l’elezione di Bill. Come ho fatto io. In privato, senza troppa enfasi.
È una sensazione a cui siamo abituati: la naturale conseguenza dell’essere
cittadini di una regione che non esiste.
Nicola Bronzino
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